LA COSCIENZA

Conosci te stesso

 

Attraverso una riflessione su tre argomenti:L’’Identità , La Coscienza, Il Mondo

 

 

Riflessioni attorno alla coscienza

Premessa:

Etimologia: cum-scire (scire, sapere, sapienza, scienza, consapevolezza, coscienza)

Una delle tante possibili definizioni di coscienza : l’essere coscienti è l’attributo che definisce tutti i nostri stati di veglia, i nostri stati d’animo, i nostri sentimenti, i ricordi, i pensieri, gli atti di volontà, la nostra attenzione, la nostra reattività, inoltre è la base dell’apprendimento, del ragionamento, della riflessione, del giudizio. Quando siamo coscienti possiamo registrare le nostre esperienze, man mano che si svolgono, dandoci la possibilità di esaminarle, reagire ad esse ed imparare da esse. La coscienza è un prodotto dell’evoluzione umana, della nostra specie, ha una base neurologica è in stretto contatto con il linguaggio e con la libertà, il libero arbitrio, ossia, ci permette di sfuggire al determinismo, ci permette di porre domande, di essere consapevoli della propria necessaria morte. La coscienza pone l’uomo in una condizione drammatica, trovandosi da una parte vulnerabile, con il suo corpo mortale e dall’altra, in grado di creare cose belle, ad esempio l’arte, oppure anche cose molto brutte, come la guerra.

Coscienza ed attenzione non coincidono, poiché io posso essere concentrato sulla lettura di un testo e tutta la mia attenzione è lì, ma, anche se non me ne accorgo, sono sempre cosciente dell’ambiente che mi circonda, dei suoni, delle luci, della posizione del mio corpo e reagisco se uno stimolo di sufficiente intensità sopraggiunge o emerge dallo sfondo. Quando siamo svegli siamo coscienti in modo sincronico, sia dei processi mentali (pensieri, sentimenti), sia dello stato corporeo (posizione degli arti, ecc.) sia dell’ambiente che ci circonda, naturalmente a differenti livelli di intensità.

Un altro aspetto importante è che lo stato di coscienza ci permette di prendere delle decisioni che potremo chiamare razionali. Il prendere qualsiasi decisione è sempre fonte di dubbi, incertezza, responsabilità, per gli effetti che la nostra decisione avrà e le sue conseguenze. Dover prendere delle decisioni è sempre fonte di stress e di queste ne dobbiamo prendere ogni giorno molte, sia grandi che piccole. Prendere una  decisione significa anche poter sbagliare la scelta, assumersi la responsabilità, che ricade naturalmente si chi ha preso la decisione.

Ma è sempre stato così?  Iliade : (1)

Ettore in battaglia

Canto XVI,715

Ettore tratteneva alle porte Scee i cavalli dal solido [zoccolo, incerto se combattere, guidandoli in mezzo alla mischia, o richiamare l’esercito a rifugiarsi dentro le mura.  Mentre cosi pensava, gli si accostò Febo Apollo che aveva preso l ‘aspetto di un uomo forte, Asio, zio materno di Ettore, abile nel domare i cavalli, fratello di Ecuba e figlio di Dimante, che abitava in Frigia, presso le acque del fiume Sangario. Nelle sembianze di questi, disse il figlio di Zeus : « Ettore, perché abbandoni la lotta ? Non devi farlo. Oh se fossi piu forte di te, quanto invece lo sono di meno, non ti lascerei impunemente abbandonare la lotta. Su, spingi contro Patroclo i tuoi cavalli dal solido zoccolo, vediamo se riesci ad ucciderlo, se Apollo ti dà questa gloria». Cosi dicendo, il dio tornò nella mischia degli uomini. Ettore ordinò al valoroso Cebrione di spronare i cavalli alla guerra.

 

In molte occasioni, nell’Iliade, ma non solo, quando l’eroe si trova di fronte ad una scelta e deve prendere un decisione, non fa un ragionamento, una autoriflessione ma viene consigliato o gli viene ordinato il da farsi, da una entità, da una voce esterna . Il pensiero, la voce interna non è percepita come autoprodotta, ma è  l’eco di qualcuno che parla dall’esterno, in genere un Dio. (2) La decisione è presa seguendo le indicazione di qualcuno percepito al di fuori della propria mente e non come pensiero della propria mente, come singolo individuo autosufficiente e autodeterminante. Infatti secondo alcuni autori la coscienza come capacità di autodeterminazione completa si rafforza attorno al 1000 a c.,(si confronti in nota 3, Amos, profeta della Bibbia, vissuto ,nel 800 a.c.,  con Qohèlet del 300 a.c.), oppure la sentenza di Solone  (630 a.c.))

 

”i cittadini non devono giustificare la loro sfortuna con gli dei, ma solo a se stessi”.

 

La presenza di voci esterne che danno ordini sono comuni nelle sindromi schizofreniche ( è una vestigia-traccia di un primitivo funzionamento cerebrale?)

Questo breve accenno storico sulla coscienza, in cui la responsabilità viene attribuita alla divinità, ci porta alla nostra contemporaneità, in cui la nuova divinità è l’intelligenza artificiale, I.A., e con lei la tendenza moderna ad esteriorizzare la responsabilità della decisione. Nell’ampio campo degli studi sulla coscienza, da parte delle neuroscienze, emerge sempre più, il ruolo della I.A., a supportare e forse a sostituire la funzione della decisione. Quando noi dobbiamo decidere un’azione valutiamo più fattori e poi razionalmente decidiamo: tutto questo lo può fare la rete dell’I.A., molto più efficacemente , velocemente e in modo più preciso. L’I.A. è in grado di valutare in tempi reali, moltissime variabili, milioni di dati, provenienti da vari ambiti, producendo la risposta razionale più adeguata ed efficiente a seconda delle necessità. L’I.A. è in grado di prendere delle decisioni non solo secondo logica, ma è in grado di risolvere problemi in maniera differente, tenendo conto dei differenti contesti; l’uso di reti neurali, interconnesse, permette di riprodurre ragionamenti tipici della mente umana, in differenti situazioni, imparando dagli errori e migliorando sempre più la qualità e l’efficacia delle risposte.

Questo significa che il computer è cosciente perchè è razionale? Sicuramente no, allora essere coscienti significa qualche cosa d’altro. Infatti coscienza, è un termine che abbraccia un vastissimo campo di fenomeni, fra i quali, la cosiddetta autocoscienza e il fenomeno del sentire, del provare qualche cosa. Quando il robot mima l’emozione del piangere il computer sente qualche cosa?

  1. L’AUTOCOSCIENZA

((autoscoperta, auto-riconoscimento, consapevolezza di sé, autoconoscenza)

Abbiamo visto come la coscienza include un’enorme varietà di stati coscienti della veglia: dal sentire un dolore, al vedere gli oggetti, al soffrire d’ansia, al risolvere un cruciverba, al ricordare un numero di telefono, a discutere di politica, al desiderare di essere al mare. Questi fenomeni della coscienza vanno distinti dal caso particolare dell’autocoscienza che significa, sia avere consapevolezza delle proprie azioni, sia possedere una certa autoconoscenza di me stesso, come funzioniamo, anche in rapporto al contesto e sfondo socio-culturale che ci ha modellati e ci modella continuamente, condizionandoci.

L’autoconsapevolezza include due modalità di coscienza: la cosiddetta coscienza spontanea, quella che entra in azione quando facciamo qualche attività specifica, siamo impegnati in un compito preciso , agiamo nel mondo, interagiamo con il mondo (il sé esperiente di C. Bollas) e una coscienza riflessa, che potremo definire anche stato di consapevolezza  di sé, cioè quando ci fermiamo, sospendiamo l’azione, riflettiamo, analizziamo da varie angolazioni l’esperienza effettuata. (il sé riflessivo)

La coscienza di sé o consapevolezza di se stessi, mediante l’autoriflessione, non deve comunque essere sopravvalutata, come mezzo di conoscenza. Se da un lato il contenuto di uno stato di coscienza è dato come immediato, vale a dire percepito come autotrasparente, dall’altro, il senso di tale contenuto spesso ci sfugge, (come ad esempio il significato della nostra postura corporea). La conoscenza di se stessi è molte volte indiretta, è una nostra costruzione mentale, (chi sono IO?) e per questo dobbiamo decifrarci attraverso il confronto con un altro da noi; infatti abbiamo bisogno del rimando dell’altro per capire molte cose di noi. Questo è dovuto al fatto che gran parte del nostro funzionamento psichico è inconscio, cioè al di là della nostra consapevolezza, ove c’è il grande mare dell’inconscio : la paura che sento, ad esempio, è forse quella del passato, riportata alla memoria, ma non riesco a  collegarla a qualche esperienza ricordata: non so perché ho paura, e questa angoscia mi può improvvisamente invadere, oppure mi sento triste e non so il perché. Questo legame fra parte di noi consapevole e quella parte che è al di là della possibilità di arrivare ad una  consapevolezza, individua quello iatus, o lacuna esplicativa che ci è costituzionale, detta anche causalità psichica.

E questo ci introduce in un’altra differenziazione, fra una coscienza psicologica (attenzione focalizzata, concentrazione, ecc.) e una coscienza fenomenologica che risponde alla domanda ”cosa “ si prova a vivere una certa esperienza ?

Come ci si sente ad essere un pipistrello?

Non lo possiamo sapere, perché non sappiamo come si origina l’esperienza soggettiva, che è unica, personale ed individuale. L’enigma dell’esperienza individuale è determinato dal fatto che la sensazione, la percezione esterna, deve passare attraverso un vuoto esplicativo, una macchina enigmatica da cui fuoriesce l’esperienza individuale. Lo stesso stimolo provoca vissuti differenti in persone differenti, ma anche nella stessa persona in tempi differenti. Di fronte all’unicità, all’irripetibilità dei vissuti soggettivi, si devono arrendere tutte le neuroscienze e la scienza in genere.

3.CONOSCERE SE’ STESSI DA UN PUNTO DI VISTA NEUROLOGICO

 

Il funzionamento del nostro cervello si può suddividere in due modalità di funzionamento principale: il DMN (Default Mode Network)e il AMN (Attentional Mode net) o ATN(Attentional Task network).

Il DMN è una rete sinaptica predefinita che comprende varie aree cerebrali inter-reagenti che sono la base di tutti i processi autoreferenziali (memoria autobiografica, riflessioni su se stessi). Il DMN si attiva nello stato di veglia, nello stato di riposo, quando siamo focalizzati sul nostro mondo interiore, pensiamo a noi stessi in rapporto agli altri, ricordiamo il passato, facciamo piani per il futuro e non abbiamo da concentrarci su compiti specifici. Questa attività neurale è alla base del pensiero spontaneo e del cosiddetto ”vagabondaggio mentale”(mind Wandering).Si innesca quando siamo annoiati, si va in altri mondo (passato, futuro),porta il pensiero al nostro sé esperenziale, dove generiamo le storie che connettono quello che succede con la storia della nostra vita. E’ la funzione essenziale ove nascono le idee, la fonte della nostra creatività, fantasia, invenzione. E’ un’attività sganciata dai sensi, dall’attenzione, vi è un disaccoppiamento percettivo, è lo stato in cui si inserisce il pilota automatico, ma  è anche la funzione cerebrale che si attiva nella psicoterapia psicoanalitica, mediante il pensiero associativo.

Non appena si deve eseguire un compito specifico, questa modalità di funzionamento si spegne e si attiva, si accende la AMN (Attentional Mode Network) o TPN( Task Positive Network) che riporta la consapevolezza nel qui ed ora. Si passa ad uno stato di accoppiamento percettivo, attenzione agganciata ai sensi fisici: si mettono in connessione tutte le funzioni atte a risolvere al meglio il problema; quando questa modalità è in funzione, l’altra non è attiva. L’azione e l’attenzione focalizzate mantengono la consapevolezza nel qui ed ora. Questa attività cerebrale tiene la mente focalizzata su un compito specifico e in questo modo tiene lontano i pensieri che preoccupano, per cui lo stress, disattivando temporaneamente l’amigdala, la sentinella dello stress.

La meditazione come esercizio del qui ed ora, mediante l’attenzione focalizzata (respiro, suoni, ecc.) spegne la DMN, favorendo una riduzione dell’ansia e dell’autocritica. Se vi è un’aumentata attività DMN, questa interferisce con l’esecuzione dei compiti e le  decisioni efficaci; inoltre il nostro star bene o male è fortemente legato a quanto siamo in grado di gestire e bilanciare queste due modalità. Con la modalità AMN vivo l’esperienza e con la DMN, il cervello elabora quello che è accaduto durante la giornata, in modo da assorbire, metabolizzare, interiorizzare quello che ho vissuto, trovandone un senso, cercando di rispondere alle domande: perché è successo questo, perché ho detto quello e non quell’altro, che senso ha avuto ecc. Questa attività tende a non provocare soddisfazione in quanto pensando al passato o al futuro non è quasi mai appagante. Vi è un eccesso di questa modalità nella depressione. L’equilibrio significa permettere un adeguato spazio mentale  e tempo per questa modalità di pensiero, ove possono maturare le decisioni migliori, tenendo presente che la creatività è al meglio quando vi è un bilanciamento fra le due modalità. Infine un accenno allo stato di “Flow”: stato di completa concentrazione nel qui ed ora, focalizzata al massimo, con una attenzione molto elevata, sia sul compito che su se stessi. Questo stato mentale caratterizza molte attività, come il free climbing, il suonatore di strumenti musicali, che sono in  uno stato mentale quasi estatico.

Il Multitasking

In quali condizioni psicologiche  ci troviamo, quando siamo in sovraccarico lavorativo, decisionale, oppure informazionale, quando facciamo più cose contemporaneamente?

Innanzitutto il fare più azioni in contemporanea ci rende meno capaci di decidere in modo efficace, troppe informazioni ci fanno sbagliare: possiamo al meglio risolvere  un problema alla volta. Quando siamo nella condizione di multitasking( molti compiti)entra in azione il pilota automatico, il cervello automatico: troppa informazione genera una povertà di attenzione, il cervello riesce a processare solo un numero limitato di dati, solo una certa quantità di informazioni in contemporanea, quando dobbiamo prestare attenzione a tante cose, sentiamo un malessere fisico e psichico, ansia(stress) ed elaboriamo soluzioni molte volte errate.

Cosa  accade nel cervello?

In uno stato di rilassamento il cervello funziona come DMN (Default Mode network),mentre  poi progressivamente scivola verso il MMN (Multitasking Mode network ) . Nell’eseguire il multitasking si attivano le cortecce prefrontali sia dell’emisfero destro che sinistro, ogni lato lavora quasi indipendentemente, in uno stato di non coordinazione: il cervello può eseguire due compiti contemporaneamente quando questi aumentano, si fanno il triplo di errori, molte dimenticanze. Il fenomeno del multitasking è una conseguenza inevitabile dell’attuale contesto socio-culturale, con più attività e compiti differenti in contemporanea. Il multitasking deriva dall’informatica, la capacità del sistema operativo di eseguire più compiti contemporaneamente. Per noi questa modalità provoca conseguenze negative, sulla qualità della prestazione, sull’apprendimento, produce stress, aumento del cortisolo e dell’adrenalina. Le aree cerebrali non riescono a coordinarsi, per cui vi è una certa dissociazione, decisioni e risultati imprecisi, ridotta capacità di attenzione, depressione ed ansia.

 

 

  1. COSA VUOL DIRE SENTIRE

 

Uno dei fondamentali correlati della coscienza o consapevolezza è sicuramente il fatto di “ sentire”, rendersi conto di essere in un ambiente, del quale ne percepiamo la presenza e le interrelazioni. Quando pensiamo al verbo sentire siamo portati a concentrarci sulle sensazioni, emozioni, sentimenti, ma l’ambito coperto dal concetto  “ sentire” deve è molto più ampio. Nel processo del “sentire” sono coinvolti tutte le componenti del processo, mente, cervello, corpo e mondo-ambiente esterno. Partendo da un tentativo di costruire una tassonomia del sentire si possono comprendere due ambiti fondamentali, il corpo, il biologico e il cognitivo, le rappresentazioni. Ambedue risentono e sono influenzati quando non determinati dall’ambiente-contesto, mondo precedente, precostituito in cui noi siamo stati immersi alla nascita e che ci modella in continuazione.

 

Alla base della piramide del “sentire” vi sono i processi corporei, strettamente biologici, omeostatici, metabolici, ormonali, neurologici, ecc., completamente al di fuori della nostra consapevolezza. Tutta questa attività poi si articola poi in un piano superiore, tipico delle stratificazioni dei sistemi complessi, che costituiscono(inter – reagendo con l’ambiente e le motivazioni intese nell’ampio spettro di significati), gli stati emotivi di base, per poi arrivare alle emozioni ed ai sentimenti. A questo livello del sentire, però, non si può fermare il processo di crescita della persona, ma deve proseguire verso una maggior profondità del sentire. Perchè questo avvenga è necessario spostarsi da un’asse prevalentemente verticale ad un asse orizzontale, dall’intrapsichico all’interpsichico, ove si incontrano, sia l’empatia che i valori legati alla  persona, legati alla presenza e all’incontro con un altro essere umano diverso da me.

Ci avevamo chiesto se il robot sente qualche cosa, quando mima l’atto di piangere, (per questo c’è una differenza importante fra l’avere un’emozione e provare un’emozione).

Le emozioni sono collegamenti con il mondo e vi sono situazioni come la depressione, in cui la persona depressa ha la consapevolezza degli altri, dei loro sorrisi, delle loro reazioni, ma dice di non sentire nulla, non prova alcun sentimento, nessuna emozione, vi è una scarsa connessione con il mondo. Provare sentimenti significa essere in connessione con l’ambiente, attraverso il mediatore che è il nostro corpo. I sentimenti sono l’esperienza soggettiva delle emozioni, la consapevolezza cosciente delle emozioni. L’emozione coinvolge il corpo, con reazioni corporee specifiche che possono essere consapevoli o non: ad esempio la postura della paura e le reazioni fisiologiche correlate. Le emozioni hanno un aspetto pubblico, visibile nelle reazioni sensomotorie del corpo, che possono anche essere soppresse, e con la soppressione si ottiene l’effetto alla lunga, di sopprimere anche il sentimento associato. Avere  un emozione non significa sempre avere un esperienza soggettiva dell’emozione, in cui vi è un collegamento fra l’emozione e la coscienza che permette di entrare nel sentimento emotivo e viverlo in prima persona. Lo stato emotivo soggettivo è determinato dall’equilibrio e bilanciamento fra imput interocettivi, provenienti dal corpo ed esterocettivi, provenienti dall’ambiente attraverso i sensi. I sentimenti emotivi sono frutto di una connessione fra mente e cervello-corpo e ambiente. Si originano contemporaneamente, nella mente, nel corpo e nell’ambiente. Nelle varie patologie psichiche può prevalere il contenuto corporeo, con un ripiegamento ipocondriaco o depressivo, oppure il contenuto ambientale come nella mania: l’equilibrio fra i due sistemi, contribuisce a stabilire il tono emotivo specifico. Inoltre le reazioni corporee (aumento del battito cardiaco, ecc.) devono sempre essere interpretate, categorizzate, da parte del sistema simbolico, per trovare una loro configurazione emotiva, all’interno dei significati emotivi soggettivi e dell’esperienza soggettiva della singola persona.

 

Proseguendo nell’analisi del “sentire”, un elemento fondamentale della nostra vita oltre che il sentire le nostre emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo, consiste nel chiedersi cosa significa sentire l’altro da me, ovvero quale è il ruolo dell’empatia, come mezzo di conoscenza, dell’altro da me, sia nel suo stato prettamente emotivo che etico.

Empatia infatti non è solo sentire insieme a.., come contagio emotivo, come condivisione di un sentimento , ma si articola in un’ ulteriore modalità: come empatia etica, Edith Stein (5)

Empatia come esperienza quotidiana che permette di percepire l’altro da me, sia nel suo stato emotivo, sia nelle sue motivazioni. Accorgersi di una espressione del volto, ci fa accedere a sentimenti di simpatia, odio, amore, pietà, compassione: questo compone il sentire l’altro , come vissuti emotivi e motivazionali, secondari dall’essere in relazione. Ma essere in relazione costituisce l’esperienza dell’incontro con l’altro, non solo attraverso ciò che è visibile(volto gesti, movimenti)udibile(suoni, parole),tangibile carezze, tatto) ma anche e soprattutto  di ciò che non è sensibile, come il dolore, la vergogna, la menzogna: essere in relazione con una persona, non è come essere in relazione o davanti ad un oggetto, una cosa, ma a qualche cosa di vivente, con tutto il suo mondo personale, enigmatico, che ci può sorprendere. Nell’atto empatico io mi immedesimo nell’altro, non ci sono solo io, isolato, autoreferenziale, chiuso in me, ma sono coinvolto direttamente. Allora empatia significa anche ampliare la mia esperienza, rendendola capace di accogliere il dolore, la gioia, la noia, dell’altro: due soggetti distinti condividono un’esperienza umana. Io so del dolore dell’altro, ma questo non significa che mi sono impossessato dell’altro, del suo stato d’animo e della sua storia. L’empatia è un’esperienza emotiva ma anche cognitiva, fatta con l’altro da me, che è a sua volta un soggetto vivente che fa un’esperienza come me. Il legame intersoggettivo è profondo, necessario, costituzionale all’essere umano, e attraverso questo legame è possibile la trasformazione di ambedue i sé esperienti.

Nemico di tutto questo è l’indifferenza, l’anaffettività, il chiudersi su se stessi, il non riuscire a sentire il mondo vivente dell’altro, ma vederlo come un oggetto.

L’esperienza della relazione con gli altri, nuove esperienze me-altro, sono alla base del nostro rapporto con il mondo e con noi stessi. Gli incontri con la realtà, molte volte imprevisti, non familiari, incontri con persone vive, che fanno esperienze, ci coinvolgono se permettiamo l’intrusione dell’altro, e possono provocare uno spiazzamento di noi stessi, mediante un’elaborazione del senso di questi incontri, sempre che, ci lasciamo interrogare da loro, ci lasciamo toccare, solo allora potranno indurre cambiamenti, in noi stessi. Alla fine la ricerca del senso di ciò che viviamo è sempre il frutto della relazione con gli altri che vivono accanto a noi: un altro entra nella nostra esperienza, può accadere nulla, o qualche cosa di nuovo, oppure uno spunto per la  conoscenza  di noi stessi. Da un incontro possono nascere, scambi di parole, emozioni, revisioni, consapevolezza di sé, nuovi spunti per altre scelte di vita. Tutto questo può succedere, solo a condizione che l’Io si apra a nuove esperienze, in un atteggiamento di condivisione, che porta verso un percorso di profondità.

Nella nostra contemporaneità, fredda e impersonale, l’Io singolo vive una crisi molto profonda, abitata da un sensazione di vuoto e da una perdita di senso: l’atto empatico può essere la chiave per fare entrare il nuovo nella nostra vita, dando significato alla nostra vita stessa.

Il Sentire,la Coscienza,l’Umanizzazione

Siamo congenitamente programmati per la relazione, per l’essere con…

Per questo è fondamentale proseguire in un’estensione del sentire l’altro: infatti posso partire dal sentire una sensazione, una puntura sulla pelle, caldo, freddo, ma anche una sensazione di malessere, un’emozione, paura, rabbia, oppure sentire niente, essere indifferente, ma posso sentire anche la nobiltà di un gesto. Vi è dunque un’estensione ed una profondità del sentire: si potrebbe parlare di una maturità o immaturità del sentire. Quando si parla di maturazione o crescita di una persona, che cosa si intende ?  Una possibile definizione potrebbe dipendere dal grado di maturità del suo sentire, dalla profondità o strutturazione assiologica del suo sentire.

La realizzazione dell’umano, il fiorire di una persona, è in stretto rapporto con la profondità del suo sentire. All’apice dello sviluppo del sentire vi è   “sentire il valore”, il valore di un’altra vita e della propria . Un ulteriore passo nella scala del sentire  è necessario affinchè la vita affettiva di un soggetto si schiuda all’esperienza di valori rispetto al piacevole o all’utile. Sentire il valore di un’altra esistenza, il valore delle differenze, si coniuga con il risveglio della persona a se stessa, come attivazione di un livello personale più elevato del sentire che ha poi delle implicazioni conseguentemente anche sull’agire. In questa ottica ogni incontro diviene fonte di  arricchimento. All’apice della piramide dei valori, vi è la dignità della persona, la sua inalienabile libertà, il rispetto , la sacralità della vita. Le carenze di questo percorso, l’arresto a qualche livello del sentire, fa si che, l’individuo non possa realizzare  pienamente le sue caratteristiche tipicamente umane, anche perchè come sento l’altro sento anche me stesso.

 

Al suo opposto vi stanno , il vuoto interiore, l’incapacità del sentire, l’indifferenza che può portare all’odio, l’avidità, ansia, isolamento, solitudine, a considerare l’altro come un oggetto, una cosa: se all’apice della piramide dei valori vi è il potere, la ricchezza, il piacere, il prestigio, la vita altrui conta meno del proprio utile e del proprio piacere.

E qui ritorna l’antica intuizione che l’odio è il frutto di una deficienza d’essere, un infelice incompletezza di vita, un’impossibilità a fiorire, a divenire un sé compiuto, causa  perenne di infelicità. Quando l’uomo retrocede sul percorso della maturazione umana, non ritorna una bestia, ma sviluppa una malattia mentale.

 

  5.L’UOMO E LA STORIA : Coscienza tra passato e futuro

Paola Calliari

Siamo inevitabilmente immersi nel fluire del tempo che si caratterizza per il passaggio tra passato e futuro, tra ciò che non è più e ciò che non è ancora

Dove si può collocare la coscienza dell’individuo tra passato e futuro?

La filosofa  Hannah  Arent riporta  un aforisma di Rene Chair, scrittore e poeta  francese, che sollecita delle riflessioni,

“la nostra eredità non è preceduta da alcun testamento”

se dal passato non giungono chiare indicazioni per orientarci nel futuro l’uomo brancola al buio in assenza di testamento il tempo manca di continuità si crea un intervallo una rottura

La frase di Chair viene affiancata dalla Arent a quella di Tocqueville che afferma

“Da quando il passato non proietta più la sua luce sul futuro, la mente dell’uomo è costretta a vagare nelle tenebre”

Inoltre afferma di trovare una precisa descrizione di questa situazione nel frammento che ha scritto Franz Kafka che evidenzia la tragicità della sorte dell’uomo e il misterioso processo della mente che ha coscienza di questa tragicità ,il titolo di questo scritto è ER, EGLI :

“Egli ha due avversari; Il primo lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti.  Egli combatte con entrambi. Veramente, il primo lo soccorre nella lotta con il secondo perchè vuole spingerlo avanti  e altrettanto lo soccorre  il secondo nella lotta col primo, perchè lo spinge indietro. Questo però solo in teoria, poiché,  non ci sono soltanto i due avversari, ma anche lui stesso:  e chi può dire di conoscere le sue intenzioni?  Certo, sarebbe il suo sogno uscire una volta, in un momento non osservato – è vero che per questo ci vuole una notte buia come non è stata mai –  dalla linea di combattimento, e per la sua esperienza nella lotta, essere nominato arbitro dei  suoi avversari, che combattono fra loro”

 

Egli può rappresentare tutti noi nella nostra vulnerabilità, incompletezza, precarietà

Egli è incastrato nel piccolo spazio fra il passato e il futuro: il futuro gli taglia la strada , il passato lo spinge alle spalle. Egli, stretto fra queste due forze spera di poter uscire dalla mischia e di diventare arbitro di quello che sta avvenendo.

Egli nella sua fragilità, sta nel presente sul campo di battaglia, fra passato e futuro e può resistere all’urto delle due forze della storia, solo in un piccolo spazio che gli  permette nell’esperienza del suo vivere presente, di poter effettuare le sue strategie o acrobazie di pensiero con cui può esercitare la sua creatività. Egli metaforicamente occupa il posto del presente, dell’attualità dell’esperienza che ognuno vive nella sua concretezza.

Egli, come singolo oggetto, non fa la storia, ma pur anonimo c’è e resiste e con il suo pensiero, la sua azione, la sua scelta responsabile può diventare un poeta, un pensatore critico, un uomo d’azione, che vive la sua vita quotidiana in modo degno di essere vissuta, proprio perchè si assume la responsabilità della propria vita e delle proprie azioni, nella ricerca di comprendere ciò che è bene e ciò che è male per saperli distinguere.

La storia presenta eventi incontrollabili che sovrastano il singolo, ma proprio in questa  precarietà del presente c’è la possibilità del pensiero.

Egli, nonostante l’insufficienza dei suoi strumenti, per reggere l’urto della storia e di suoi accadimenti incontrollabili e imprevedibili, può con il suo pensiero analizzarli con giudizio critico per tentare di comprenderne il senso.Egli rappresenta l’uomo, l’individuo, il singolo che mediante il suo pensiero, la sua creatività, la sua intelligenza può opporsi al rischio di rimanere bloccato nell’immobilità, nel mutismo, nell’invisibilità, nella rassegnazione e nell’apatia.

Il pensiero critico custodisce ed è la nostra sola protezione contro la distruzione del tempo, è l’unico strumento per aprire una breccia per non rimanere schiacciati in quell’urto tra passato e futuro della storia e forse per poter deviare in diagonale se pur in minima parte il corso degli eventi nella ricerca della realizzazione di una vita sempre più pienamente umana.

“La collettività è più potente dell’individuo in tutti gli ambiti, salvo uno solo, il pensare”

                                                                             Simone Weil

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

 

 

1.Iliade

 

Canto XVI,715

Ettore tratteneva alle porte Scee i cavalli dal solido [zoccolo, incerto se combattere, guidandoli in mezzo alla mischia, o richiamare l’esercito a rifugiarsi dentro le mura.  Mentre cosi pensava, gli si accostò Febo Apollo che aveva preso l ‘aspetto di un uomo forte, Asio, zio materno di Ettore, abile nel domare i cavalli, fratello di Ecuba e figlio di Dimante, che abitava in Frigia, presso le acque del fiume Sangario. Nelle sembianze di questi, disse il figlio di Zeus : « Ettore, perché abbandoni la lotta ? Non devi farlo. Oh se fossi piu forte di te, quanto invece lo sono di meno, non ti lascerei impunemente abbandonare la lotta. Su, spingi contro Patroclo i tuoi cavalli dal solido zoccolo, vediamo se riesci ad ucciderlo, se Apollo ti dà questa gloria». Cosi dicendo, il dio tornò nella mischia degli uomini. Ettore ordinò al valoroso Cebrione di spronare i cavalli alla guerra.

 

Canto XIX,86-90

(Agamennone):Voglio spiegarmi con il figlio di Peleo, ma voi altri ascoltatemi, e ognuno intenda le mie parole. Spesso i Greci facevano questo discorso, e mi biasimavano, ma non io sono colpevole, piuttosto Zeus e la Moira e l’Erinni che si muove nell’ombra, i quali nell’assemblea mi misero in cuore la colpa il giorno che tolsi ad Achille il suo premio.  Ma che potevo fare ? E il dio che compie ogni cosa.

Canto XVII,335

Ed Enea, guardandolo in faccia, riconobbe il dio arciere e gridò forte ad Ettore: «Ettore e voi altri capi dei Troiani e degli alleati, è vergogna per voi risalire a Ilio sconfitti dalla paura, sotto la spinta dei valorosi Achei. Un dio che mi è venuto vicino, mi dice, che il sommo Zeus, signore della battaglia, è in nostro soccorso: attacchiamo dunque diritto i Greci, non permettiamo che portino tranquillamente alle navi il corpo di Patroclo». Cosi dicendo, avanzò con un balzo dalla prima fila.

 

2.Franco Fabbro: Neurologia dell’esperienza religiosa

3.Dalla Bibbia:

Il Profeta Amos: Amos 7,14-15 (800 ac.)

  1. Allora Amos rispose: «Io non sono profeta, né figlio di profeta; sono un mandriano e coltivo i sicomori. 15Il SIGNORE mi prese mentre ero dietro al gregge e mi disse: “Va’, profetizza al mio popolo, a Israele”.Ora ascolta la voce del signore”

Qohèlet o Ecclesiaste (200- 300 a.c.): 1,13-14.

“Mi sono dato a cercare e a riflettere, per mezzo della sapienza, su tutto ciò che avviene sotto il cielo. E’ una brutta occupazione che Dio ha dato agli uomini, questa, perché vi si occupino. Così ho osservato tutte le cose e le opere che si fanno sotto il sole e ho concluso che tutto è vanità e occupazione senza senso”.

  1. Da l’Empatia di Eidth Stein ( 1916)

Il mondo in cui vivo, non è soltanto un mondo di corpi fisici, in esso ci sono esterni a me, soggetti, che vivono, e io so di questo vissuto, potremmo partire dal fenomeno concreto nella sua pienezza che abbiamo davanti a noi nel nostro mondo di esperienza.Dal fenomeno di un individuo psicofisico, che è chiaramente diverso da una cosa fisica ,non si presenta come un corpo fisico, ma come un corpo vivente sensibile, che possiede un io, un io che recepisce, sente duole, il cui corpo vivente, non è solo inserito nel mio mondo fenomenico, ma è il centro di orientamento stesso, di un qualche mondo fenomenico, gli sta di fronte ,entra con me in un rapporto di scambio.Potremo Inoltre osservare le singole esperienze vissute di questi individui, non solo soltanto, ciò che è espresso dal volto e dai gesti, ma anche ciò che si nasconde dietro. Forse vedo che qualcuno fa una faccia triste, ma senza soffrire realmente e ancora sento che qualcuno fa un osservazione indiscreta, e vedo che arrossisce per questo.Allora non soltanto capisco l’osservazione e vedo nel rossore la vergogna,ma noto che egli si rende conto che L’osservazione era indiscreta e si vergogna di averla fatta.

Tutte queste datità del vissuto altrui rimandano una sorta di fondamento degli atti, in cui viene colto il vissuto altrui, e che ora vogliamo designare. prescindendo da tutte le tradizioni storiche legate alla parola, come empatia.Prendiamo un esempio, per chiarire l’essenza dell’atto di empatia. Un amico viene da me e mi racconta che ha perduto suo fratello e io mi rendo conto del suo dolore, che cosa è questo rendersi conto, non mi interessa qui capire su che cosa si fonda il suo dolore o da che cosa io lo deduco, forse il suo volto è sconvolto e pallido, la sua voce è rotta è priva di suono, o forse esprime il suo dolore anche  a parole, tutto ciò poi naturalmente venire indagato, ma qui non ha importanza per me non per quali vie arrivo a questo rendermi conto, ma che cosa è in se stesso. Questo è ciò che vorrei sapere.

  1. Dai Frammenti di Franz Kafka : Egli

Egli, ha due avversari, Il primo, lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti, e gli combatte con entrambi, veramente il primo, lo soccorre nella lotta con il secondo, perché vuole spingerlo avanti e altrettanto lo soccorre il secondo nella lotta col primo, perché lo spinge indietro.Questo però soltanto in teoria, poiché non ci sono soltanto i due avversari ma anche lui stesso, e chi può dire di conoscere le sue intenzioni .Certo, sarebbe il suo sogno uscire una volta, in un momento non osservato, è’ vero che per questo, ci vuole una notte buia, come non è stata mai, dalla linea di combattimento, e per la sua esperienza nella lotta, essere nominato giudice dei suoi avversari, che combattono tra loro.